Facoltà del Giudice e non del CTU di determinare i poteri dell’A.d.S. pur con minima motivazione
La Corte di Cassazione, Ia Sez. Civile, con Ordinanza 4266 depositata il 19 febbraio 2020 ha stabilito che è facoltà del Giudice di determinare i poteri dell’Amministratore di Sostegno, anche discostandosi dalle indicazione suggerite dal CTU, seppur con la necessità di una anche minima e sommaria motivazione a sostegno della decisione.
Il motivo di ricorso, come si legge nell’ordinanza, proponeva la nullità/illegittimità del decreto impugnato per contraddittorietà del decreto e mancanza di motivazione nella parte in cui dichiarava di aderire alle conclusioni della CTU, ma invece di fatto – secondo la visione del ricorrente – se ne discostava, poiché, malgrado le conclusioni rassegnate dal consulente tecnico suggerissero di proteggere la beneficiaria «mediante un provvedimento limitato ai soli atti straordinari e alle decisioni patrimoniali complesse ‘comunque secondo modalità di assistenza (affiancamento e non rappresentanza)” e pur ritenendo che non sussistessero ragioni per discostarsi dalla C.T.U, aveva poi stabilito la nomina di un amministratore di sostegno abilitato a rappresentare la persona beneficiaria per tutte le questioni di straordinaria amministrazione economico/finanziaria e avrebbe così sovvertito le conclusioni peritali, elidendo il diritto di autodeterminazione della beneficiaria senza alcuna motivazione».
La Suprema Corte ha ritenuto il motivo infondato, spiegando che il compendio normativo concernente l’amministrazione di sostegno attribuisce ampi poteri ufficiosi in merito al contenuto del decreto di apertura al giudice tutelare, il quale non solo può individuare gli atti bisognosi dell’attività di sostegno e scegliere il regime giuridico a cui assoggettare tale attività (tra atti di rappresentanza esclusiva e assistenza) ma addirittura può ai sensi dell’art. 407, co. 4, cod. civ., in ogni tempo e anche d’ufficio, modificare o integrare le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno.
Pertanto, conclude la Corte,
«La scelta per cui ha optato la Corte di merito, in termini più restrittivi di quanto suggerito dal C.T.U., costituisce quindi l’esercizio di un simile potere officioso».
Tuttavia, osserva sempre la Corte (riportandosi a propri precedenti orientamenti, cfr. Cass. 21800/2013), era necessario un ulteriore elemento, che era peraltro contestato dalla parte ricorrente, e cioè l’esercizio di tale potere officioso richiede sempre e comunque una motivazione del decreto, anche di carattere sommario.
Questa è forse la parte che più sorprende di questa decisione, perché di fatto la Corte ha ritenuto che «Risulta a ciò sufficiente l’indicazione della soluzione proposta dal consulente d’ufficio e la rappresentazione di ragioni di opportunità “nell’interesse della stessa beneficiata”, apprezzate quindi facendo implicito riferimento alle condizioni fisiche e psichiche poco prima descritte»: il che, in sostanza, rappresenta una definizione veramente molto scarna di “motivazione” che, laddove possa semplificare l’attività dei nostri Tribunali (già oberati da un carico eccessivo di lavoro), può tuttavia lasciare un margine d’interpretazione troppo ampio e libero per gli interpreti che potrebbe lasciare insoddisfatte le parti processuali e cioè, in ultima analisi, tutti i cittadini che vogliano avere una chiara percezione dei confini dei propri diritti, soprattutto laddove gli stessi concernono le fasce più deboli e fragili della nostra società.
© Avv. Francesco Brandoli – Riproduzione riservata; si prega di citare la fonte.