I limiti di liceità degli accordi tra coniugi prima del divorzio
Recentemente la Suprema Corte ha espresso un principio di diritto in ambito di accordi divorzili siglati durante la fase di separazione, riconoscendo come per la validità o meno degli stessi sia sempre da verificare, nel caso concreto, la causa del contratto e quindi se lo stesso intervenga su diritti disponibili o indisponibili.
Si tratta della ordinanza Ordinanza n. 11012 del con cui è stato appunto chiarito che:
In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito – credito portata da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell’uno e a favore dell’altro da versarsi “vita natural durante”, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare).
La sentenza è stata oggetto di analisi da alcuni commentatori affiancandola al concetto degli accordi prematrimoniali, anche se sinceramente i due profili vanno tenuti distinti.
Infatti, in Italia – allo stato e salvo riforme di Legge per cui sono invero presenti persino Disegni e Proposte – ad oggi sono considerati nulli i c.d. contratti prematrimoniali, cioè quegli accordi con cui le parti, prima o in procinto di contrarre matrimonio, già disciplinino determinati impegni economici in vista di una successiva fine/crisi del rapporto matrimoniale.
Questo poiché l’art. 160 c.c. espressamente vieta ai coniugi di derogare ai diritti e ai doveri previsti dalla Legge per effetto del matrimonio e quindi un tale tipo di accordi sarebbe di causa illecita, in quanto contraria a questa norma di Legge e quindi appunto i relativi contratti sarebbero nulli (senza effetto).
Nel caso in esame, invece, l’accordo nasceva non prima del matrimonio, bensì durante la fase di separazione e per giungere a una transazione che in qualche modo definisse anche la successiva fase di divorzio: il momento è diverso, ma la sostanza è la medesima, poiché colpisce la disponibilità di diritti in un contesto e momento diverso da quello appositamente predisposto dalla Legge.
In questo caso, tuttavia, è proprio alla natura transattiva dell’atto che deve essere attribuito valore: capire cioè quanto dell’accordo sia meramente risolutivo del rapporto coniugale, con tutte le conseguenze economiche che si porta dietro, e quanto invece sia risolutivo di vicende o aspetti paralleli (contratti, rapporti dare/avere aziendali o lavorativi) che come tali possono avere causa e natura che, per quanto concomitante al divorzio, sia distinta almeno teoricamente, così da potersi attribuire valore alla scelta.
Come nel caso in esame in cui il riconoscimento di una rendita vitalizia “atipica” può avere una componente in linea con l’assegno divorzile, che influisca sulla stessa valutazione del Giudice ad esempio circa la legittimazione del diritto.
Sarà interessante vedere come evolverà questo orientamento e quale sarà la nuova decisione della Corte d’Appello a cui è stata rinviata la valutazione…
La natura dell’accordo in sé è dirimente anche appunto in tema di accordi prematrimoniali, dove, ad es., uno dei rari casi con esito positivo è stato quello esaminato nella sentenza della Cassazione Civile, sez. I, n. 23713/2012, per cui:
È valido l’impegno negoziale assunto dai nubendi in caso di fallimento del matrimonio (nella specie trasferimento di un immobile di proprietà della moglie al marito, quale indennizzo delle spese, da questo sostenute, per ristrutturare altro immobile destinato ad abitazione familiare di proprietà della moglie medesima), in quanto contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, cod.civ., essendo, infatti, il fallimento del matrimonio non causa genetica dell’accordo, ma mero evento condizionale. (Da: La Tribuna, Archivio delle locazioni e del condominio, 2013, 3, pg. 321)
Tutto questo però non porta affatto a sanare in Italia la validità di accordi prematrimoniali o che anticipino scelte divorzili alla fase di separazione: semplicemente, in attesa di una novella, sarà cura anche degli interpreti dover verificare se ad alcune statuizioni tra le parti possa essere attribuita una natura contrattuale atipica che non renda questi accordi “matrimoniali” ma semplicemente trovi in una “condizione sospensiva”, legata al momento della crisi coniugale, l’attivazione di un diritto disponibile e patrimoniale comunque valido e tutelabile per il nostro ordinamento.