1) RESPONSABILITÀ MEDICA CONTRATTUALE E AQUILIANA
Si dibatte sul tema se la responsabilità del medico sia di natura contrattuale o extracontrattuale.
La distinzione rileva per due ragioni: l’onere della prova e la prescrizione del diritto.
Infatti, se si considera la prestazione medica come derivante da un rapporto contrattuale, varranno a riguardo i principi generali: spetterà al professionista medico o alla struttura sanitaria di riferimento dimostrare che “l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile” ex art. 1218 c.c. e il termine prescrizionale del relativo diritto sarà quello ordinario decennale (cfr. artt. 2935 e 2946 c.c.).
Viceversa, laddove l’operato del medico sia considerato extracontrattuale e discendente dalla regola generale del neminem ledere (“non fare male a nessuno”), la prescrizione sarà quinquennale (artt. 2935 e 2947 c.c.) e vi sarà un’inversione dell’onere della prova, per cui spetterà al danneggiato dimostrare tanto l’esistenza del danno, quanto la colpa del professionista.
Nel dubbio, conviene sempre cercare di ottenere una valutazione medico-legale del proprio presunto danno entro 5 anni dall’evento (o dall’intervento medico).
2) GRADO DELLA COLPA E VALUTAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ
Le normali regole del contratto prevedono che creditore e debitore devono comportarsi secondo reciproca correttezza (art. 1175 c.c.), nonché adempiere alla propria prestazione con la diligenza del buon padre di famiglia, da valutarsi nelle obbligazioni inerenti l’esercizio dell’attività professionale con riguardo alla specifica attività esercitata (art. 1176 c.c.).
Rispetto alla professione medica si opera così un richiamo all’art. 2236 c.c., in base al quale “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”.
Il progresso della scienza e della tecnica medica hanno notevolmente ridotto l’ambito di applicabilità di cui all’art. 2236 c.c.: in ipotesi di prestazione medica ordinaria, che cioè non implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il sanitario risponderà anche per colpa lieve.
3) IL CONTRATTO DI SPEDALITÀ
Il ricovero di un paziente presso una struttura di assistenza sanitaria, secondo l’orientamento dominante in materia, comporta la conclusione di un contratto atipico misto (il c.d. contratto di spedalità) tra il degente e la struttura, in persona del proprio rappresentante legale, che risponderà dei danni derivati al paziente dall’operato di un proprio sanitario, in forza dell’art. 1228 c.c..
4) IL DANNO TANATOLOGICO
Argomento controverso è la sussistenza del c.d. danno tanatologico, ovvero il danno derivante dalla morte di una persona. Parte della dottrina, assimila la morte a un danno fisico del 100%, come tale risarcibile.
Tuttavia, l’opinione della giurisprudenza è in contrasto con tale principio: l’evento mortale non lede l’integrità fisica (e cioè il “bene salute” di cui all’art. 32 Cost.) arrecando un danno biologico risarcibile civilmente, bensì aggredisce un diverso bene giuridico, quello della “vita”, che riceve esclusiva tutela nel solo diritto penale.
La Giurisprudenza tende tuttavia a risarcire il c.d. danno biologico terminale, che “si verifica sempre quando uno spazio temporale intercorra fra lesione e morte a causa di essa (…) per effetto della percezione anche non cosciente della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della sua vita.” (Cassazione civile, sez. III, sentenza 28.08.2007, n° 18163).
La durata che deve avere tale spazio temporale di sofferenza, anche incosciente, non è pacificamente delineata dalle sentenze: tendenzialmente è sufficiente un arco di 24 ore.
Tale danno risarcibile è trasmissibile agli eredi secondo lo schema di cui all’art. 565 c.c..
5) DANNO PER LESIONE ENDO-FAMIGLIARE
Il danno in questione si verificherebbe per la perdita di un famigliare o congiunto: un figlio subisce un danno per la morte del genitore; uno sposo per la morte del coniuge; etc.
Una recente serie di sentenze “gemelle” del la Suprema Corte ha stabilito che non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria di danno non-patrimoniale denominata “danno esistenziale”, perché attraverso questa si finirebbe per duplicare il danno non patrimoniale.
Pertanto, “il pregiudizio non patrimoniale è risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno.” (Cassazione civile, SS.UU., sentenza 11/11/2008, n° 26972).
Poiché il danno da lesione della famiglia, è correlato agli artt. 29 e 30 della Costituzione italiana, che tutelano appunto la “famiglia” come bene giuridico fondamentale, tale tipo di danno, ai sensi dell’art. 2059 c.c., può ancora oggi considerarsi danno esistenziale risarcibile e come tale è normalmente previsto, entro dei limiti predeterminati, da specifiche tabelle in uso presso i Tribunali (così come viene valutato il danno biologico).