N.B. Le coppie eterosessuali non sposate, seppure conviventi more uxorio, in Italia sono differenziate da quelle in coniugio e sottoposte a un differente trattamento giuridico (v. la pagina dedicata alla famiglia di fatto).
Per molte persone uno dei giorni più felici e memorabili della vita è quello del matrimonio. Il coronamento di un sogno infantile, lungamente cullato; la concretizzazione di un progetto di vita, a due, che realizza pienamente la persona in comunione con un altro individuo, molto spesso differente, ma che completa e armonizza.
Non è un caso, pertanto, che la tutela e valorizzazione dell’istituto coniugale sia contemplata nella Costituzione, all’art. 29:
«La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.»
Eppure, nulla diventa più devastante e drammatico della crisi di questo progetto di vita. Quando il sottile meccanismo che unisce due coniugi si incrina, l’intera struttura del matrimonio crolla, trascinando con sé tutti i legami, gli affetti e le consuetudini che avevano trovato il loro delicato equilibrio in quell’unione.
La crisi di un rapporto coniugale – se non prontamente gestita – può diventare pericolosa, in un senso letterale, fisico e psichico, per gli stessi coniugi, ma anche per i loro parenti, amici, conoscenti e addirittura amanti… Per non parlare dei figli: quelle piccole figure, apparentemente così innocenti e inconsapevoli, che sono invece le prime a comprendere il dramma nella sua portata e a soffrirne maggiormente.
Può sorgere una vera guerra, capace di annientare i risparmi di una vita, la casa, l’automobile, i mobili e persino il cane o il gatto… Una faida ancora più pericolosa perché il rivale, a cui abbiamo aperto anima e cuore per anni, ci conosce veramente: nei dettagli segreti; in quegli insondabili anditi della vita in cui siamo più vulnerabili e sensibili.
Compiere la scelta sbagliata, per inesperienza, impulsività, fragilità o paura, in simili contesti, può risultare fatale: è assolutamente necessario, laddove si prenda coscienza di una crisi coniugale, rivolgersi il più rapidamente possibile a un legale, per essere consigliati su quali siano i comportamenti giuridicamente orientati più costruttivi e legittimi da compiere.
Una scelta di non poco momento, perché la mossa sbagliata può farci perdere la casa, la custodia dei figli, il diritto a un equo mantenimento…
Il ruolo di un buon avvocato, in tali malaugurate occasioni, diventa quello di aiutare il coniuge a ricostruire la propria vita come singolo, pur mantenendo intatti e funzionali quei legami che il tempo e le scelte hanno reso inscindibili per tutto il resto della vita.
Ricordate: un avvocato non serve a riconquistare un amore e per la legge italiana basta la volontà di uno solo dei coniugi a far terminare un matrimonio, senza che il desiderio contrario dell’altro possa servire a qualcosa. I Giudici sono umani, ma nel loro ruolo istituzionale sono organi della Legge: pianti e lacrime potranno forse intenerire il loro cuore mortale, ma non potranno certo influire sul loro operato giurisdizionale.
Possibilmente, è sempre utile riuscire a mantenere il dialogo pacato e costruttivo con il compagno. Nella maggior parte dei casi, infatti, quella persona – anche se vogliamo eliminarla definitivamente dalla nostra vita – resterà parte della nostra esistenza ancora a lungo. Sarà sempre l’altro genitore di nostro figlio; il comproprietario di casa nostra; il nostro socio in affari o quello che dovrà aiutarci a mantenere inalterato il nostro tenore di vita.
Se i coniugi sono capaci di accordarsi, possono rivolgersi congiuntamente al medesimo legale, che li aiuterà a definire e formalizzare le pattuizioni inerenti i loro figli e i loro beni. È ciò che normalmente si chiama SEPARAZIONE CONSENSUALE.
Laddove, invece, il dissidio sia insanabile e fortemente conflittuale, o magari l’altro coniuge non voglia rassegnarsi alla fine di una storia, occorrerà procedere con una SEPARAZIONE GIUDIZIALE, nel corso della quale sarà un Giudice a prendere le decisioni per i coniugi, incapaci di trovare un accordo, eventualmente anche imponendosi con la forza del potere Statale.
Se una separazione consensuale può essere risolta nell’arco di un paio di mesi, ben più lunghi sono i tempi di una separazione giudiziale che – seguendo un iter processuale ordinario – può durare anche anni (comportando anche maggiori costi).
Tuttavia, anche in tali complessi casi di separazione giudiziale, normalmente in tempi brevi – pochi mesi – il Tribunale si pronuncia con una sentenza parziale in ordine al solo vincolo coniugale, che viene “sospeso” (per lo scioglimento definitivo serve il divorzio), senza attendere la puntuale configurazione degli aspetti patrimoniali.
In tutti i casi, inoltre, è normalmente il Presidente del Tribunale a prendere le decisioni più urgenti inerenti l’affidamento e il mantenimento dei figli minori (mantenimento che, peraltro, proseguirà fino al conseguimento dell’autonomia economica da parte del figlio, a volte successivo al raggiungimento della maggiore età, per empiriche ragioni di studio e lavoro).
Dal 2006, con la nota Legge n. 54, con riferimento all’affidamento dei figli, è stato peraltro statuito ex lege il principio dell’affidamento condiviso a entrambi i genitori – da preferirsi al regime di affido esclusivo, salvo eccezioni – in quanto più rispondente all’interesse morale e materiale della prole (in particolare, al diritto del minore «di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi [genitori], di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale»).
A separazione avvenuta, i coniugi sono legittimati a vivere separati, con una parziale sospensione di alcuni dei diritti e doveri reciproci del matrimonio: tuttavia, la separazione è una fase solamente empirica, che potrebbe anche terminare con il riavvicinamento dei coniugi; anzi, la ripresa del vincolo coniugale potrebbe comportare il venir meno dello stato di separazione, senza nemmeno il bisogno di un ulteriore statuizione del Giudice in tal senso.
Solo il DIVORZIO, invece, porta al definitivo scioglimento del vincolo coniugale (o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso). A seguito del divorzio, i coniugi che eventualmente volessero ricongiungersi, dovrebbero infatti contrarre nuovamente un matrimonio (esclusivamente innanzi alle Autorità Civili).
Il divorzio, che è disciplinato dalla Legge n. 898 del 1970, può avvenire anche immediatamente come conseguenza di determinate condotte pregiudizievoli di uno dei coniugi, per lo più corrispondenti al compimento di reati molto gravi.
Eppure, la casistica classica è quella di cui all’art. 3 della legge citata, laddove prevede che:
«le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici (12) mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale [giudiziale] e da sei (6) mesi nel caso di separazione consensuale».
Pertanto, normalmente è possibile risposarsi solamente dopo circa 6/12 mesi dall’avvenuta separazione, una volta perfezionato il divorzio (alla cui sentenza si può dare acquiescenza, con ciò velocizzando enormemente i tempi).
Infine, è doveroso informare che il Decreto Legge n. 132/2014 ha introdotto due (nuove) e distinte modalità per i coniugi di definizione del loro rapporto, alternative al procedimento giudiziario innanzi al Tribunale Civile: in presenza di alcuni specifici requisiti, si può procedere direttamente di fronte a un avvocato, con la convenzione di negoziazione assistita (art. 6), oppure di fronte all’Ufficiale di Stato Civile (art. 12).
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